Il web sta cambiando alla velocità della luce, sotto i nostri occhi, ma abbiamo davvero capito quello che sta succedendo?
Con la diffusione delle AI generative – e in particolare di strumenti come ChatGPT – è cambiato radicalmente non solo il modo di scrivere, ma anche e soprattutto quello di fruire i contenuti. Oggi le persone cercano risposte, non più articoli. E sempre più spesso, queste risposte le ottengono senza nemmeno passare da Google.
Certo, il papà di Gmail resta sempre il numero uno nella ricerca, ma ha ormai ceduto al nuovo paradigma: la classica SERP è sempre più spesso sostituita da risposte sintetiche generate dall’intelligenza artificiale. Un cambiamento che certifica, senza mezzi termini, che la SEO tradizionale è al capolinea (Lo so, questa l’abbiamo già sentita tante volte).
La classica SERP è sempre più spesso sostituita da risposte sintetiche generate dall’intelligenza artificiale
In questo scenario, i siti generalisti che campavano di copia-incolla da comunicati stampa o di articoli informativi scritti in serie, stanno già vedendo cali di traffico importanti. Perché leggere un contenuto generico quando posso farmelo personalizzare in tempo reale da un chatbot?
E qui arriva la domanda delle domande: cosa faranno tutte quelle agenzie che hanno costruito il loro modello di business su link building e compravendita di articoli sponsorizzati? Quando i siti perdono traffico, quei link valgono ancora qualcosa?
Il paradosso è servito. La “vecchia” SEO, quella fatta di keyword stuffing e link comprati a 30 euro su siti impresentabili, funzionava proprio perché sfruttava le debolezze dell’algoritmo. Ma oggi non è più l’algoritmo a decidere: è l’utente, che interagisce direttamente con un’intelligenza artificiale. E quell’AI sa distinguere meglio di prima cosa è davvero utile.
Fare articoli che l’AI può generare a raffica non ha più senso. È diventato quasi impossibile indicizzarsi se non si ha un punto di vista originale. E paradossalmente, è proprio da questo caos che può nascere un nuovo ordine.
Eppure, io credo che ci aspetti un ritorno alla qualità. Ai contenuti che hanno un valore reale. Alle voci fuori dal coro. Alle storie raccontate da chi le ha vissute. Quando le aziende capiranno che non serve più comprare link tanto al chilo, forse inizieranno a investire davvero in digital PR, media relation e costruzione del brand.
Perché sarà sempre più chiaro che una citazione autentica, in un contesto specifico, su un media autorevole e verticale, vale infinitamente più di mille backlink comprati all’ingrosso.
Eppure, io credo che ci aspetti un ritorno alla qualità. Ai contenuti che hanno un valore reale. Alle voci fuori dal coro. Alle storie raccontate da chi le ha vissute.
Forse – finalmente – stiamo per tornare a un web che premia chi ha davvero qualcosa da dire. Non chi sa solo come farsi trovare.
Parlavo di questi temi proprio qualche giorno fa con Martino Mosna, brillante esperto SEO con cui ho l’onore e il piacere di collaborare ormai da anni ogni volta che con Dynamo lavoriamo a un nuovo sito web. Martino mi diceva: «Se il tuo modello di business è: “porto visite a un sito e monetizzo con banner/affiliazione” allora puoi anche impacchettare e andare a casa. È finita. Tutto ciò che è “common sense” è già coperto dai modelli di linguaggio. Resteranno solo i contenuti “high information gain”, ovvero le cose che gli LLM non sanno e possono solo allucinare».
Lato Seo, il discorso non cambia: «Se hai imparato ad astrarre i ragionamenti e a posizionarti nell’intersezione tra esseri umani e tecnologia… non vedo problemi. La tecnologia cambia, ma gli esseri umani no. Se invece il tuo mestiere fin qui è stato “produco contenuti da posizionare su Google”, allora la vedo dura»…
Oggi più che mai, l’identità editoriale diventa un asset competitivo. Mentre le AI possono imitare stili e strutture, non possono replicare l’esperienza, la reputazione e il pensiero critico di chi scrive con cognizione di causa. Per questo, chi produce contenuti deve interrogarsi su una nuova domanda: cosa posso dire io che un’AI non può dire meglio?
Chi produce contenuti deve interrogarsi su una nuova domanda: cosa posso dire io che un’AI non può dire meglio?
Inoltre, con l’AI a filtrare le informazioni per l’utente, la fiducia e l’autorevolezza diventano il nuovo SEO. Se un brand, una persona o una testata riesce a diventare “referente attendibile” per l’utente e per l’AI stessa (attraverso citazioni, menzioni, contenuti di valore), allora ha vinto.
Cambia anche la logica dell’investimento: non ha più senso “spingere” traffico con pratiche artificiali, ma ha senso costruire un ecosistema di contenuti veri, distribuiti in modo intelligente e relazionato a canali e community attive. Tutto lavoro che chi fa digital PR in maniera professionale, conosce molto bene.
Infine, un aspetto che pochi considerano: il ruolo dell’autenticità e della voce umana. In un mondo saturo di contenuti generati da macchine, ciò che è umano – con i suoi limiti, ma anche con il suo carattere – diventa prezioso. Saper raccontare con onestà, emozione e competenza sarà il vero vantaggio competitivo.
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L’autore
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